Posts Tagged ‘ansia’

Tenere uniti i pezzi

21 aprile 2013

L’esplosione di una bomba mi dilanierebbe. Io invece devo tenermi insieme, riunire i pezzi, bloccare i pensieri, lasciare dov’è quel che tenta di fuggire. Devo riallacciare le vene, agganciarle alle arterie, far defluire il sangue, decomprimere le pareti del cranio. Abbassare la pressione.
Devo percepire vita nelle braccia, stimoli nelle gambe, far formicolare le dita. Indirizzare al meglio lo sguardo, dirigere i passi, attrarre corpi. Devo risolvere l’algoritmo che ha ostacolato il mio contare, pettinare le idee, sbloccare i meccanismi, sentirmi leggera ma salda a terra. Essere la cassa dove battono più cuori, saldare le ossa, sigillare le articolazioni, ricucire i muscoli e rilanciare i tendini. Devo incollare la pelle, scollare la cartapesta. Dare l’intonaco. Tenermi insieme. Tenermi insieme. Tenermi insieme.

Giorni totali 7

10 aprile 2013

Giorno 1. Il corpo è una pentola calda da cui l’anima ribolle. Il sonno s’è fatto tormento e più che al ristoro somiglia alla febbre. Cosa dire, come farlo, cosa sperare di ottenere. Le ore devono scorrere e scorreranno, ma non so ancora come desidero che lo facciano.

***

Vedere. Confermare. Sottolineare.
Gli zigomi purpurei.

Il gene intrinseco della follia

1 dicembre 2012

Spesso mi metto nei panni di mio marito e mi chiedo se non si senta un po’ come quei personaggi dei libri delle sorelle Bronte. O magari come quelli di Flaubert, di Tolstoj o di Charles Dickens.
Mi chiedo, insomma, se non gli sembri di vivere in una di quelle storie all’interno delle quali, come la giri la rigiri, il gene della follia colpisce tutte le donne protagoniste.
In fin dei conti, c’è da dirlo, mio marito è un po’ questo che ha in questi giorni. Una moglie folle.
Dove per folle non si intende l’essere sopra gli schemi, il comportarsi in maniera “normalmente” euforica o l’essere un po’ pazze e schizzate.
Mio marito ha una moglie il cui umore cambia irrimediabilmente ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Una moglie che un momento è allegra e spensierata, e il secondo dopo scoppia in lacrime e diventa straordinariamente isterica. Incondizionatamente tranquilla (ovviamente) solo con sua figlia.
Una lunatica dagli occhi vitrei che prima ti abbraccia e poi ti rimprovera; una donna dagli occhi spenti che sa toccare e far vibrare le corde più profonde del vuoto dell’anima; una moglie dagli occhi di fuoco che in un attimo manda tutto all’aria, nella più grande ed appariscente esplosione planetaria.
E una donna dolcissima e caparbia, che per amor sa mettere a tacere tutti i mali del Mondo.
Un giorno up. E un giorno down.
Nessuna depressione, nessuna sindrome bipolare.
Nessuna instabilità mentale, per carità.
Non la pazzia, alla base di questo periodo della mia vita, ma l’infelicità per una mancanza cui ormai è troppo difficile rinunciare.
Una grande tristezza interiore, talvolta nascosta da una risata e altre volte perfezionata dalla gioia. Ma sempre, o forse spesso, colorata dal gene intrinseco della follia. E dal tran tran quotidiano.

Se sentire fa vacillare

21 settembre 2011

Si dice che quando amiamo qualcuno (un partner, un figlio, un amico), pronunciamo il suo nome in un modo diverso, come se tra le nostre labbra questo qualcuno possa restare al sicuro da tutto e da tutti, protetto dalle infamie di un mondo in cui i supereroi non esistono più.

Io invece taccio, per scaramanzia. E non pronuncio il nome delle persone che amo perché ultimamente mi sento così terribilmente mortale che preferisco non proferir parola.

Sento di camminare su un suolo ripido, liscio e scivoloso. Sento la pelle staccarsi dai muscoli giorno dopo giorno. E lo percepisco: tutto si fa insicuro. Il battito del cuore galoppa verso il vuoto e niente è più come prima nonostante il sole si rinnovi ogni dodici ore.

Spettatori muti e impotenti di un film che non ha mai fine. Improbabili e improvvisati attori ballerini con le spine ai piedi e le ali spezzate. Pendolari senza sedia in questo viaggio assurdo. Sfuggendo un punto. Quel punto.

Se sentire fa vacillare, io voglio diventare “sorda”.